A Cuggiono, nella periferia ovest della provincia di Milano, si trova un grande murales che ritrae quattro giocatori di baseball: lo sport che li rese famosi in America.
Chi passa di fronte a quest’opera senza conoscerne la storia, potrebbe comprensibilmente chiedersi: ma cosa ci fanno qui? Per scoprirlo, conviene raggiungere la chiesa di Sant’Ambrogio. Ma non quella di Milano…
5130 Wilson Avenue, St. Louis, Stati Uniti: St. Ambrose Catholic Church
A St. Louis, nel Missouri, esiste un quartiere che si chiama The Hill. Si trova a qualche chilometro dal centro della città e, per il suo isolamento, ha mantenuto inalterate nel tempo molte delle sue caratteristiche originarie. Le casette unifamiliari con il prato ben curato si dispongono ben allineate attorno alla chiesa, dedicata significativamente a Sant’Ambrogio, patrono di Milano. The Hill per i locali è La Montagna e costituisce una tra le poche, vere little Italy rimaste. Si tratta del quartiere in cui, a partire dal 1880, andarono ad abitare i primi emigranti che dall’Italia – specialmente da Cuggiono e dai paesi limitrofi dell’area di Milano -, raggiungevano la ‘merica. Un quartiere di emigrati, in cerca di un lavoro, duro, nelle cave d’argilla, accomunati da una terra di origine e da un bagaglio di tradizioni attorno alle quali sentirsi uniti. La chiesa di Sant’Ambrogio sembra essere il simbolo di questo collante, costruita nel 1902, distrutta da un incendio nel 1921 e poi ricostruita con il lavoro e i soldi donati dai parrocchiani perché continuasse ad essere il fulcro della comunità.
Tuttavia questa coesione rendeva l’inserimento all’interno della società americana particolarmente lento, complicato anche dalla prima guerra mondiale, che si rifletté sulla seconda generazione di italo-americani minando il rapporto con il presente e la fiducia nel futuro. La Hill era un quartiere operaio italiano, con poche prospettive economiche e, come spesso succede, destinato un giorno a disperdersi e mescolarsi, come sarebbe successo durante la grande depressione ai corrispettivi polacchi, ebraici, irlandesi, tedeschi e italiani del centro città. Ma a quanto pare La Montagna non intendeva spostarsi.
In pieno Proibizionismo, nell’estate del 1925, arrivò sulla Hill Joe Causino, che aveva lavorato come direttore per la ricreazione della YMCA (Young Men Christian Association – Associazione dei Giovani Cristiani). La rivoluzione portata da Causino ruotava attorno allo sport e offriva ai giovani del quartiere una boccata di aria fresca. Sorsero decine di club, le palestre divennero un punto d’incontro quotidiano e Causino riuscì ad ottenere diversi fondi a favore delle varie squadre soprattutto di calcio e baseball.
I giovani, che non avevano mai messo piede fuori dalla Hill, avevano finalmente l’opportunità di ampliare i propri orizzonti spostandosi per andare a giocare contro i vari club di irlandesi, tedeschi, polacchi e ispanici. Furono lo sport e i primi successi a offrire ai ragazzi italiani una via di integrazione all’interno della società americana.
Dalla Hill alla collinetta di lancio: i giovani italiani conquistano il baseball
Negli anni della seconda guerra mondiale le squadre della Montagna iniziarono a farsi conoscere soprattutto nel baseball, e ancor di più si fecero conoscere alcuni giocatori che in quelle squadre e su quei campi avevano scoperto un talento.
Nel 1943 un tale Lawrence Peter Berra, meglio conosciuto come Yogi Berra, fu ingaggiato come ricevitore nella squadra di baseball dei New York Yankees. Arruolato, sarebbe partito di lì a poco per la guerra, avrebbe partecipato allo sbarco in Normandia e, una volta tornato in America, sarebbe diventato uno dei giocatori più famosi della storia del baseball. Tutt’oggi è considerato uno dei migliori ricevitori mai esistiti.
Era nato a St. Louis il 12 maggio del 1925 da Pietro Berra e Paolina Longoni, ambedue di Malvaglio, paese confinante con Cuggiono (paese che Yogi visitò nel 1959). Yogi Berra è stato il terzo americano di origine italiana, dopo Joe Di Maggio e Roy Campanella, ad essere nominato alla Hall of Fame nel 1972 dalla Baseball Association of America. A lui è dedicato un museo, nella città di Upper Montclair, New Jersey, che custodisce i cimeli della sua carriera.
Il personaggio – caratteristico fin dal soprannome, che gli fu dato da un amico che, vedendolo seduto a gambe incrociate e braccia conserte, lo paragonò allo yogi uno di un film che avevano visto assieme – divenne famoso anche per i suoi particolari “aforismi”, alcuni dei quali divenuti pietre miliari della cultura sportiva americana e non solo. Tra questi: Non è finita finché non è finita, Quando arrivi a un bivio, prendilo, Se non sai dove stai andando, potresti finire da qualche altra parte, Se il mondo fosse perfetto, non lo sarebbe e, giustamente, Non ho mai detto metà delle cose che ho detto.
Con uno spirito di questo tipo, risulta comprensibile come il suo nome abbia ispirato quello di un famoso orso della televisione: Yogi Bear.
Un altro giovane di origini italiane, nato e cresciuto sulla Montagna, si allenava con Yogi sul campo del quartiere. Era Joseph Henry “Joe” Garagiola.
Nato a St. Louis il 12 febbraio 1926 da Giovanni Garagiola e Angela Garavaglia, entrambi nativi di Inveruno, Joe crebbe in Elizabeth Street nella casa di fronte a quella di Yogi Berra, con cui condivise l’amore per il baseball. Fu reclutato dai Cardinals di St. Louis a soli 16 anni, preferito all’amico Yogi, debuttando nella massima divisione a 20. Sembrava un astro nascente ma deluse le aspettative in quanto la sua carriera professionale di ricevitore fu mediocre. Giocò soltanto nove stagioni con i St. Louis Cardinals, i Pittsburgh Pirates, i Chicago Cubs e i New York Giants, per un totale di 676 partite. Ma se in campo le cose non andarono come sperato, questo servì solamente a portare sotto gli occhi di tutti il vero grande talento di Joe: nel 1960 diede alle stampe il libro Baseball is a funny game, che gli valse una certa fama per il suo carattere ironico, per gli aneddoti sul mondo dello sport e per lo stile unico. Si stava aprendo una carriera di enorme successo e notorietà che sarebbe durata 30 anni: in seno alla NBC Joe divenne un cronista e commentatore di baseball fenomenale. Una piccola curiosità: Joe Garagiola spesso viene citato nelle strisce dei Peanuts, di Charles M. Schulz.
Ci sono altri due giocatori lombardi, nati nel medesimo quartiere e nel medesimo periodo, ritratti sul murales di Cuggiono: Frank Crespi e James Pisoni.
Frank Crespi, tra il 1938 e il 1942, giocò come seconda base nella squadra dei St. Louis Cardinals diventando a tutti gli effetti il primo giocatore della Hill a militare nella Major Baseball League e, nel 1942, contribuì alla vittoria dei Cardinals dello scudetto della National League contro gli Yankees di New York. Frank “Creepy” Crespi – così soprannominato fin da bambino perché era in grado di correre velocemente mentre era accovacciato in attesa di prendere la palla – nacque a St. Louis il 16 febbraio 1918 da Luigi Crespi e Teresa Fumagalli. Il padre, nato a Cuggiono, era emigrato nel 1906, a 15 anni, a St. Louis, mentre la madre, nata a Marnate, aveva raggiunto il fratello Giovanni a St. Louis nel 1913.
La Seconda Guerra Mondiale tuttavia portò in dono a Frank un carico notevole di sfortuna, segnando per sempre la fine della sua carriera agonistica. Frank non rifiutò il servizio militare nonostante avesse subito la perdita in combattimento di un fratello. In questo periodo Frank si infortunò a una gamba durante un incontro di baseball, una frattura scomposta sulla quale, un altro incidente durante un’esercitazione militare, rincarò la dose. Cadde poi dalla sedia a rotelle a causa di un infermiere sbadato e poi, per errore, gli venne somministrata un’eccessiva dose di medicinali che per poco non gli costarono un’amputazione. Frank si riprese ma non fu più in grado di riprendere l’attività agonistica. Dopo la fine della seconda guerra mondiale restò per qualche anno nel mondo del baseball in varie funzioni, ma alla fine lo abbandonò. Quando morì, il 1 marzo 1990, molte persone scoprirono per la prima volta di essere stati vicini a un buon giocatore di baseball, potenzialmente un campione, rovinato dagli anni della guerra.
Il quarto giocatore di baseball della Hill degno di menzione è James Peter Pisoni, nato il 14 febbraio 1929 a St. Louis. Il padre Ambrogio Pisoni, nato a Buscate, era emigrato con destinazione St. Louis a bordo della nave Taormina, arrivata a New York il 10 luglio 1923. Trovato lavoro in una fabbrica di tubature fognarie, si era sposato nel 1928 con Mollie. James Pisoni studiò per diventare un tool-and-die maker, un operaio dell’industria meccanica, ma la passione per il baseball istillata anche dallo zio Paul Merlotti prese il sopravvento. A soli diciassette anni fu ingaggiato dai Browns di St. Louis che militavano nell’American League. Dapprima lo fecero giocare nelle serie minori, soprattutto nel ruolo di esterno centro. Fu l’ultimo giocatore a debuttare con la casacca dei Browns prima del loro trasferimento e della trasformazione in Baltimore Orioles. Le ultime tre partite contro i Chicago Cubs furono giocate a St. Louis. I Browns persero di brutto ma nel secondo inning della penultima partita, il 26 settembre 1953, Pisoni segnò l’unico home run che diede il temporaneo vantaggio ai Browns. Nel 1954 i Baltimore Orioles lo cedettero ai Kansas City Athletics, successivamente fece parte dei Milwaukee Braves e dei New York Yankees. Dopo il suo ritiro fece l’elettricista.
Gennaio 2025. Editing per tracciaminima a cura di Mattia Gadda, da un articolo di Ernesto R. Milani.
Fonti:
Federazione italiana baseball e softball