Un autista, un macellaio, un operaio e un reduce vanno allo stadio… la strana storia dei mondiali di calcio del 1950!
Negli anni Venti, la prima generazione di italiani nata e cresciuta a The Hill, un quartiere di St. Louis abitato in prevalenza da immigrati lombardi e siciliani, riuscì a mantenere la propria identità e a diventare americana attraverso lo sport, in particolare attraverso il baseball e il calcio.
The Hill fu una delle prime mete dell’emigrazione dal Mandamento di Cuggiono, e rimane uno dei centri con maggior concentrazione di lombardi. L’integrazione e il riscatto delle comunità di migranti non è un percorso lineare e spesso passa anche dallo sport, che può diventare fonte di guadagno o essere semplicemente un modo per divertirsi, fuori dal lavoro, un modo per essere ragazzi e non solo lavoratori in fabbrica, nei cantieri o nei campi.
Valeva ieri per i ragazzi italoamericani che giocavano a baseball e a calcio a The hill, vale oggi per tanti giovani figli di migranti, “seconda generazione”, che calcano i campi da calcio in Italia.
Vi abbiamo raccontato come alcuni ragazzi italodiscendenti trovarono il loro posto, e addirittura raggiunsero la fama, grazie al baseball. Ma non fu solo il baseball ad appassionare i giovani della Montagna. Un ruolo importante tra gli sport lo ebbe anche il calcio, e c’è una storia incredibile, a proposito di questo, che vorremmo raccontarvi.
La follia della Seconda Guerra Mondiale era finita da poco e si apriva un’epoca nuova, nella quale le grandi potenze avrebbero cercato di affermare o consolidare il loro ruolo di peso all’interno degli equilibri globali. Si riapriva un’altra grande sfida planetaria, fortunatamente meno cruenta, ma di certo capace di agganciare le masse: il 1950 fu l’anno dei primi campionati mondiali di calcio del dopoguerra, da disputarsi in Brasile.
Gli inglesi avevano inventato il calcio chiamandolo foot-ball ma nell’America del 1950 era diventato soccer, era giocato soprattutto dagli immigrati europei ed era, praticamente, sconosciuto ai più. C’erano tuttavia degli entusiasti grazie ai quali la nazionale americana riuscì a qualificarsi. Ma la squadra aveva del particolare.
I suoi giocatori si chiamavano: Frank Borghi portiere, Harry Keough difensore, Joe Maca difensore; Ed McIlvenny, mediano; Charlie Colombo, difensore centrale; Walter Bahr, mediano; Frank Wallace, attaccante; John Souza, interno; Joe Gaetjens, centravanti; Gino Pariani, interno; Ed Souza, attaccante.
Chi erano questi giocatori? Dilettanti.
L’unico professionista era lo scozzese McIlvenny, di Filadelfia. Mentre Frank Borghi faceva l’autista per la ditta di pompe funebri dello zio Paul Calcaterra sulla Hill. Joe Maca lavorava in una ditta di carta da parati di Long Island. Joe Gaetjens faceva il lavapiatti a New York dove si era trasferito dalla natia Haiti. Harry Keough faceva il postino a St. Louis. Charlie Colombo lavorava in una macelleria a St. Louis. Walter Bahr insegnava educazione fisica a Filadelfia. Gino Pariani aveva 22 anni, si era appena sposato e faceva l’operaio alla Continental Can, produttrice di contenitori metallici. Anche Wallace era della Montagna e, durante la guerra, aveva trascorso sedici mesi in un campo di prigionia. I due Souza erano di origine portoghese, della zona di Fall River nel Massachusetts.
Tra i giocatori ben cinque provenivano dalla Hill e tre di loro erano lombardi. La loro avventura fu raccontata in sordina dallo speciale bollettino parrocchiale della Hill fondato da padre Koester nel 1942 come mezzo di informazione per il migliaio di soldati in giro per il mondo. Il Crusader Clarion del giugno 1950 riportò che cinque membri dei St. Louis Simpkins-Ford, squadra della Hill, che avevano vinto il campionato americano, erano stati scelti per far parte della nazionale USA in partenza per Rio de Janeiro: Gino Pariani, Charlie “Lefty” Colombo, Frank “PeeWee Wallace” Valicenti, Frank Borghi e Bob Annis.
La vittoria della prima partita di finale, contro il Ponta Delgada di Fall River, era terminata 2-0 con goal di Gino Pariani e Bill Bertani mentre quella di ritorno finì 1-1 con il goal del pareggio firmato Buddy Marshak ma caratterizzato soprattutto dalla difesa del portiere Frank Borghi aiutato da Charlie Colombo, Johnny Galimberti e Bob Annis ( anch’egli della Hill e riserva in Brasile).
Prima della partenza per il Brasile, i Simpkins erano però stati sconfitti duramente per 5-0 prima dal Manchester e poi dai turchi del Besiktas.
Un breve articolo del Crusader Clarion di luglio riportava una foto dei giocatori che oggi definiremmo in Italia come l’avanguardia dell’Armata brancaleone. Ma avevano fegato da vendere e niente da perdere.
La partita d’esordio fu giocata contro la Spagna il 25 giugno 1950 nella città di Curitiba. Gli USA andarono in vantaggio con Gino Pariani e resistettero fino quasi alla fine. Poi anche Charlie Colombo, il grande difensore della squadra, non riuscì a contenere le furie rosse che prevalsero per 3-1. La sconfitta ma non disfatta incoraggiò gli americani non abituati ad essere acclamati da folle di diecimila spettatori.
La partita della loro vita ebbe luogo il 29 giugno 1950 a Belo Horizonte, al nord del Brasile, lontano dai luoghi delle finali. Il match era da disputare contro gli inglesi – proprio loro, gli inventori del foot-ball – che snobbarono chiaramente gli americani e lasciarono negli spogliatoi molto giocatori per risparmiarli in vista degli incontri importanti. Non tennero conto che gli americano erano usi a giocare su campi difficili e poco curati, ma si accorsero ben presto di aver commesso un grave errore e non essere in grado di dominare la partita.
La svolta decisiva avvenne al 37’ del primo tempo. Ed McIlvenny lanciò Walter Bahr, che tirò in porta alla sinistra di Bert Williams, il portiere inglese, il quale tentò invano di parare ma fu anticipato da Joe Gaetjens che infilò il pallone dalla parte opposta. Gli inglesi non volevano crederci. E il pubblico cominciò a tifare per i più deboli. Cercarono in tutti i modi di ribaltare il risultato ma la difesa primeggiò con Charlie Colombo prima e poi con gli eccezionali salvataggi di Frank Borghi. Nel finale Frank Wallace fallì il raddoppio su un passaggio di Gino Pariani. Ma, ormai, era fatta. Nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo, ma la raffazzonata nazionale di calcio americana batté per la prima volta la mitica squadra inglese. Quella che doveva essere un evento imbarazzante diventò la partita che li avrebbe definiti eroi per la vita. Questa vittoria rimane ancor oggi l’avvenimento più importante nella storia del calcio americano e viene ricordato, nientemeno, col nome di Miracolo di Belo Horizonte.
É interessante che proprio un regista inglese, David Anspaugh, abbia diretto nel 2005 un film dal titolo La partita della loro vita, con la scenografia di Angelo Pizzo, che racconta la storia incredibile della partita Inghilterra-USA giocata ai Mondiali del 1950.
Il film è stato girato in gran parte in un quartiere prettamente italiano di St. Louis nel Missouri che si chiama The Hill ma che per i locali è semplicemente La Montagna.
Purtroppo l’avventura USA ai mondiali del 1950 finì anticipatamente con la sconfitta a Recife il 2 luglio contro il Cile per 3-2. ah, quasi dimenticavamo: il goal del vantaggio definitivo del Cile fu segnato da tale… Atilio Cremaschi. Nome insolito per un cileno. A meno che, come lui, non sia di origini lombarde.
La squadra USA che sconfisse l’inghilterra nel 1950. (seconda fila, da sinistra a destra) manager Chubby Lyons, Joe Maca, Charlie Colombo, Frank Borghi, Harry Keough, Walt Bahr, coach Bill Jeffrey; (prima fila) Frank Wallace, Ed McIlvenny, Gino Pariani, Joe Gaetjens, John Souza, Ed Souza.
Editing per Italea Lombardia a cura di Mattia Gadda, da un articolo di Ernesto R. Milani.
Fonti:Ecoinstituto Ticino